L’azione educativa in natura. Riscoperta, necessità, innovazione.

di Laura Pomari

L’articolo è tratto del discorso introduttivo all’incontro formativo sul tema “L’azione educativa in natura. Riscoperta, neccessità, innovazione” tenutosi il 6 Marzo 2021 all’interno del progetto QUBI Quanto basta in contrasto alla povertà minorile.

“Se non si radica una concezione alternativa e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso.”
Alexander Langer

Per introdurre l’argomento si è partiti da agenda 2030 che è un po’ la bussola con cui pensare il futuro in educazione e ci si è concentrati su obiettivo 3, in particolare sul punto 13.30 riflettendo su come mettere al servizio di questi obiettivi lo sguardo professionale dello psicomotricista.

Goal 3 lotta al cambiamento climatico.

Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze

13.3 Migliorare l’istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale riguardo ai cambiamenti climatici in materia di mitigazione, adattamento, riduzione dell’impatto e di allerta precoce.

Tim Ingold, antropologo che molto si è occupato di relazione uomo/ambiente, spiega che l’idea di globo collegata al concetto di ambiente è relativamente recente. Oggi si sente parlare frequentemente di “Global environment” o ambiente globale, espressione che sottolinea quanto qualsiasi cosa succeda in un dato luogo abbia ripercussioni immediate in un altro punto della Terra; il famoso effetto farfalla di cui abbiamo avuto prova tangibile con la pandemia in corso.   L’antropologo britannico ci mostra come la concezione di ambiente come globo invece che includere l’uomo nel concetto tenda a separarlo. L’immagine del globo suggerisce un’idea di mondo come oggetto di contemplazione non inserito in un processo di vita, come sintetizza bene la figura dell’astronauta che “saluta la terra dall’oblò”.  L’uomo è capace di conoscere il mondo ma stando al di fuori di esso.

Vi sono state in passato modalità alternative di approccio all’ambiente. Nel 1564, il mondo veniva rappresentato da Camillo Maffei[2] attraverso 4 sfere concentriche con il soggetto al centro e conosciuto sfera dopo sfera dal centro in maniera ascendente. La visione sferica del cosmo permetteva di ap-prendere l’ambiente partendo da dentro, attraverso un movimento centrifugo dal centro alla periferia. Al contrario, la comprensione globale del mondo si realizza attraverso una visione da fuori, dall’esterno.

Nel suo articolo “Globes and spheres: the topology of environmentalism”, Tim Ingold approfondisce questa differenza anche dal punto di vista percettivo. Ripropone la nozione di musica della sfera, che da Pitagora si protrae al rinascimento: le sfere producono un suono armonioso che solo l’orecchio sensibile può sentire; lo stesso spazio dell’uditore è sferico, composto da sfere concentriche che circondano chi ascolta posto al centro. Ingold, antropologo molto interessato alla corporeità e percezione, si spinge oltre e fa notare come lo stesso suono delle parole Globe and Sphere, suggerisca mondi diversi, il primo duro, consonantico come un oggetto che non appartiene a chi lo conosce; il secondo soffice, avvolgente, protettivo.

Mentre il mondo immaginato come globo ha escluso la vita, il cosmo immaginato come sfera la ha inclusa. Secondo la prima prospettiva, la vita è vissuta sulla superficie del globo, non nel suo centro; prospettiva che ha oggi una stretta connessione con l’idea di ambiente come uno stato esterno. Si pensi alle classi di geografia, che propongono mappe in cui il mare è azzurro e l’oceano è blu secondo una convezione e non un processo conoscitivo realmente vissuto e partecipato. Una visione auspicata invece da Kropotkin[3], geografo che, applicando alla geografia i principi della pedagogia libertaria, aveva visto nel viaggio il mezzo per ottenere il massimo delle possibilità di stimolare l’attenzione del bambino, risvegliando in primo luogo la sua fantasia

Il passaggio dall’ immaginario sferico a quello globale corrisponde alla crescita della credenza verso la tecnologia: si è passati con il tempo da mondo che si rivela, ad un mondo da controllare, da una conoscenza parziale, verso un rischio calcolato. La stessa comprensione dei viventi secondo un catalogo di biodiversità ha una prospettiva di tipo globale, le specie vengono enumerate da parte di un’umanità che “sta sopra”. In modo simile, il concetto di “intervento”, necessario oggi per tentare di preservare la Terra in buone condizioni, presuppone l’esistenza di un luogo già costituito, uno spettacolo per l’essere umano che può decidere, appunto, se “intervenire” o meno nelle vicende terrestri. Il globo e la sfera si presentano a livello teorico come due topologie alternative di consapevolezza sull’ambiente. L’immagine del mondo come globo è una visione coloniale: idea di una superficie che aspetta di essere occupata…Per questo ancora oggi la maggior parte delle concezioni del global environment sono legate a come noi gestiamo il pianeta ma cosa sia, la sua essenza, è un tema che rimane ancora poco approfondito. Riapproprarsi di una visione che metta persone in una relazione di significato con l’ambiente di cui sono parte, non solo osservatori o agenti, controllanti. Il passaggio da immaginario sferico a globale corrisponde con la crescita della credenza verso la tecnologia.

Senza cadere in dualismi che da educatori sappiamo bene essere poco interessanti, possiamo in realtà dire che globo e sfera non sono irrevocabilmente opposti, ma ognuno contiene il seme dell’altro e raccontano il gioco dialettico che intercorre tra il coinvolgimento dell’uomo nel suo mondo e la sua separazione; in ogni società e tempo c’è una parte preponderante. . 

Secondo la visione di Ingold l’avvento delle nuove tecnologie ha portato ad un sempre maggiore avvicinamento alla conoscenza dell’ambiente di tipo globale, caratterizzata da una forte separazione tra soggetto che conosce e oggetto che è conosciuto. In effetti, se pensiamo al bambino/adolescente di fronte al tablet, il suo modo di interazione è di tipo “interventista”: l’apparecchio elettronico risponde al comando esterno on/off, in una visione dicotomica delle cose e non processuale, dialogica; il movimento di conoscenza è centripeto dall’esterno verso l’interno. L’esperienza psicomotoria educativa privilegia, al contrario, un approccio centrifugo che costruisce il senso dell’accadere nel momento stesso in cui accade attraverso una partecipazione alla co-costruzione del senso da parte di tutti gli agenti: bambini, adulti, ambiente, tempo. La visione psicomotoria del metodo educativo quindi, è di tipo sferico: privilegia la centralità dei soggetti nel processo conoscitivo, visto come processo di vita.

Se come professionisti dell’educazione riteniamo che un “approccio educativo/formativo di tipo sferico” sia importante per il bambino quanto per l’adulto, come promuovere tempi e spazi che privilegino questa dimensione? Come riflettere sull’intervento educativo attraverso questa chiave di lettura? Credo che in questo quadro si inserisca molto bene il senso dell’educazione in natura con un approccio psicomotorio

L’ azione spontanea si rivela nel soggetto rispondendo ad un bisogno, può aprirsi alla condivisione con l’ambiente e con gli altri, può evolvere nella costruzione di un progetto condiviso intorno a quell’azione, può svilupparsi in una struttura di sensi e significati co-creati e partecipati.

Educatori, pedagogisti ed esperti a vario titolo ricordano l’importanza dell’esperienza percettiva per la crescita e l’apprendimento del bambino.

In un suo articolo il filosofo Francesco Tomatis[4] ci mostra, citando Aristotele, come l’esperienza tattile sia strettamente legata allo sviluppo dell’intelligenza del bambino: “Nel bambino, la tattilità fine della mano gli permette di scoprire il mondo, correlando a esso suoni, emozioni, parole, pensieri, nel riflettere infine anche su se stesso, soggetto e oggetto assieme di raffinata sensibilità. Per questo è fondamentale che i bambini possano toccare tutto quanto li circondi, senza danno, differenziando gradualmente la percezione di diverse gradazioni e tipologie di calore, superficie, forma, stato e quant’altro la loro spiccatissima sensibilità possa percepire ed elaborare, stimolando la crescita cerebrale, intelligentemente…” (Tomatis, 2013)

L’educazione in NAtirua agevola quindi un apprendimento positivo perché stimola la percezione in una conoscenza interattiva con l’ambiente esterno, una co-costruzione di senso attraverso una inter-azione tra soggetto e ambiente. Tale approccio, profondamente psicomotorio, è costituito da un continuo rapporto dialettico tra il minimo dettaglio e l’intero, un organismo in cui le parti sono determinate dal tutto e il tutto determina a sua volta la totalità. Educare in natura permette di attivare imprese costruttiviste di partecipazione alla creazione del senso, dove il significato non è conferito a posteriori rispetto all’azione ma coincide con la stessa organizzazione dell’azione.

Come psicomotricista questo aspetto mi suggerisce due riflessioni.

La prima riguarda ancora una volta l’importanza dell’approccio sferico alla conoscenza, che permette la conoscenza del tempo attraverso il proprio vissuto in relazione all’ambiente. L’esperienza condivisa conduce a una percezione del tempo rispondente al bisogno del gruppo in tutti momenti di azione/non azione/rielaborazione. In questo senso l’apporto dell’educazione in Natura all’ esperienza del tempo come luogo di riflessione, sedimentazione delle conoscenze, di costruzione dell’io e della memoria è fondamentale.

La seconda riflessione è un guardarsi nello specchio della prima riflessione e porta a chiedersi: educare in natorua con un approccio psicomotorio educa all’ascolto del tempo nel suo scorrere cronologico, nel suo essere strutturale dei vissuti che diventano memoria attraverso una successiva rielaborazione; ma come essere certi che questo tipo di approccio oggi riservato ad alcune particolari esperienze e a qualche “evento educativo”, non entri in conflitto con altre percezioni di tempo cui il bambino è sottoposto quotidianamente? Ad esempio il tempo frammentato delle nuove tecnologie?  Come psicomotricista sono convinta che il vissuto e l’esperienza corporea permettano una relazione soggetto-tempo di tipo sferico. Ma come questa dimensione di apprendimento può essere efficace senza entrare in conflitto con l’eterno presente che è la cifra della modernità?

Una riflessione analoga si potrebbe fare rispetto allo spazio, anch’esso dispositivo fondamentale durante un approccio psicomotorio all’educazione in natura. Quale può essere la dimensione e la collocazione dello spazio scoperto, de-limitato, investito emotivamente nell’era del cyberspazio[5]?

 Marc Augè[6] ha definito «luogo antropologico» ogni spazio fortemente socializzato e caratterizzato da relazioni significative; non-luoghi diventano gli spazi anonimi della commercializzazione, caratterizzati da una dimensione effimera e di passaggio. Si può definire il cyberspazio un non luogo? In effetti il web crea continuamente delle relazioni, ma che tipo di relazioni sono?

Il cyberspazio permette di intessere relazioni di ordine diverso rispetto a quelle quotidiane, chiamiamole “tradizionali”; si tratta di un potente strumento innovativo, di cui non si può certo ignorare il fascino. La questione è che il cyberspazio tende a trattenere i suoi fruitori all’interno dello stesso cyberspazio, in uno spazio talmente vasto da non poter essere più de-finito.

Dunque il “qui e ora” psicomotorio/educativo, in un tempo dell’eterno presente e in uno spazio della non de-finizione, assume una rilevanza fondamentale. L’approccio sferico alla conoscenza che la psicomotricità può offrire   permette di conservare quella dimensione di ascolto e di rielaborazione dei vissuti necessarie per un apprendimento “partecipato e co-costruttivo” dell’ambiente esterno. In un affascinante mondo sempre più informatizzato e veloce, sarà così possibile per la persona vivere con piacere e consapevolezza anche dimensioni “altre”, proprio perché di quelle dimensioni ha potuto fare una profonda esperienza e ne conserva una memoria corporea.

Introduco quindi un altro autore Adolfo Braga che occupandosi di turismo sostenibile e tempo libero ha messo al centro della sua riflessioni i temi legati alla cultura ambientale, facendo anche riflessioni su formazione ed educazione in questo senso.

L’autore propone un nuovo progetto di sviluppo in cui equità, sviluppo durevole e solidarietà sociale tra popoli e generazioni  siano al centro. L’approccio alla sostenibilità non deve essere percepito come freno allo sviluppo ma come motore per la creazione di nuova ricchezza in termini di lavoro, cultura, benessere. Braga ritiene importante  la concreta realizzazione di un progetto culturale sulla diffusione dei temi ambientali. E’ necessario costruire un senso culturale per rielaborare tutte quelle prassi necessarie a ridurre gli impatti ambientali. Per questo educazione e formazione devono essere al centro. Il sistema dovrebbe comunicare dei valori attraverso la sua stessa struttura organizzativa, attraverso il suo essere e il suo far. Ogni apprendimento cognitivo, dice Braga, è anche un apprendimento culturale e dunque proiettato verso il futuro. Ecco un ulteriore punto che avvalora la necessità di educare in Natura, perché è un veicolo per accrescere culturalmente i cittadini del futuro.

Non si educano solo i piccoli, sappiamo che il processo formativo si allunga per tutta la vita: Longlife learning è lo strumento individuato dalla comunità europea per raggiungere l’obiettivo di sviluppare una società basata su conoscenza, sviluppo economico sostenibile. E questa educazione non avviene solo per vie formali, anche l’educazione non formale deve essere messa al centro. In questi percorsi educativi formativi, dice Braga, al centro ci deve essere l’esperienza, ma questo non basta…l’esperienza va inserita in un quadro di riflessione e pensiero costante, che dia senso all’esperienza stessa, un pensiero filosofico ampio che tenga insieme persone, ambiente, economia. Per questo è importante ASSICURARE A TUTTI GLI INDIVIDUI QUALUNQUE SIANO LE CARATTERISTICHE PERSONALI E LE CONDIZIONI SOCIALI LA POSSIBILITà DI CONTINUARE A CRESCERE CULTURALMENTE. La povertà educativa di cui tanto si parla si rivelerà un problema per la sensibilizzazione verso i temi ambientali. E’ necessario quindi che questi temi: povertà educativa, coscienza ambientale, sostenibilità, inclusione camminino insieme.

BIBLIOGRAFIA:

  • Tim Ingold (2008); Globes and spheres. The topology of environmentalism in M. Dove and C. Carpenter (eds) Environmental Anthropology: A Historical Reader
  • Federico Ferretti (2014); Da Strabone al cyberspazio. Introduzione alla storia del pensiero geografico, Milano, Guerini Scientifica
  • Gentile, M. (2008). Nuove tecnologie e apprendimento cooperativo. Scuola e Formazione
  • Tomatis F. (2013), Scrivere a mano per non crescere da omologati, Avvenire
  • Adolfo Braga,2014, Lo sviluppo del turismo sostenibile. Cambiamenti sociali e acquisizione di competenze, Ediesse

[1] Tim Ingold (2008); Globes and spheres. The topology of environmentalism in M. Dove and C. Carpenter (eds) Environmental Anthropology: A Historical Reader

[2] In Scala Naturale pubblicato nel 1564, l’autore espone il sistema cosmico secondo i principi di Aristotele, tratta delle comete, delle meteore, dei corpi celesti, allargando le sue osservazioni a tutti gli ambiti, dalla meteorologia alla botanica, dalla zoologia all’alchimia.

[3] Pëtr Alekseevič Kropotkin (18421921), è stato un filosofo, geografo, zoologo russo

[4] Professore ordinario in Filosofia teoretica alla Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Salerno  

[5]Cyberspazio: L’insieme delle risorse informatiche e dei siti web che possono essere visitati simultaneamente da milioni di persone tramite reti di computer, e in cui avvengono scambi comunicativi di varia natura.

[6] Marc Augé è un etnologo e antropologo francese. È noto per aver introdotto il neologismo nonluogo, utilizzato per indicare tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici.